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lunedì 30 giugno 2008

BRIGANTAGGIO: Specificità della BASILICATA

La storia della Basilicata non è certo diversa da quella delle altre province del Meridione, il problema economico è strettamente legato a quello sociale e l’inferiorità economica in cui versa la Basilicata è diretta conseguenza delle condizioni di vita di una popolazione prevalentemente agricola. I contadini non insorgono contro il nuovo regime, ma lottano contro la spaventosa miseria in cui sono costretti a vivere. Il Brigantaggio non può essere ridotto ad un semplice fenomeno delinquenziale, fu soprattutto una protesta della popolazioni rurali del sud che esprimevano il loro dissenso politico e il loro risentimento sociale verso la borghesia, che monopolizzava il potere a proprio vantaggio.[1] Le motivazioni profonde del brigantaggio erano da ricercare nella miseria, nell'eccessiva pressione demografica, nella mal vista coscrizione militare[2]. In questa condizione precaria del Mezzogiorno la situazione della Basilicata risultava ancora più critica. Questa situazione economico ambientale denota un esasperato squilibrio fra le risorse presenti e disponibili e la richiesta di bisogni della popolazione. Situazione che anche dopo l’Unità persiste, rimarcando ed ampliando le divergenze di livello economico e civile che continuano a sottolineare la “divisione” sociale dell’Italia. Nel primo decennio dell’Unità la situazione della Basilicata non offre un quadro molto diverso da quello presente prima dell’unità d’Italia. Il malcontento delle popolazioni meridionali ebbe le sue manifestazioni eclatanti e sanguinose , sin dallo stesso 1860, attraverso sommosse verificatesi in Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata. Massima espressione di questo malcontento è da considerarsi il brigantaggio che metteva a nudo un male antico delle popolazioni meridionali: la loro disgregazione sociale. La rapida trasformazione politica conseguita nel Mezzogiorno e l’atteggiamento assunto dal governo piemontese, suscitano ovunque risentimenti e malcontenti non solo negli esponenti della vecchia classe dirigente borbonica, ma anche tra gli stessi liberali.[3] Ma a risentirne maggiormente sono le regioni più povere e, prima di ogni altra, la Basilicata.[4] L'opportunità d'impossessarsi di tutto ciò che era stato a lungo negato fu offerta dal brigantaggio che faceva sperare ancora in possibili mutamenti.[5] Questo segna l’inizio di una nuova fase del brigantaggio, non espressione di delinquenza comune o di manifestazioni di devozione al Borbone, ma un movimento anche e soprattutto sociale, per reprimere il quale si rendono necessarie vaste riforme economiche di carattere agrario, previdenze sociali e, soprattutto, una serie di lavori pubblici destinati non soltanto a migliorare le condizioni generali del paese, ma anche a fornire, con il lavoro, i mezzi indispensabili di sussistenza alle popolazioni meridionali.[6]L’Italia impreparata, rovesciò nel sud reggimenti di bersaglieri e di carabinieri. A Pomarico, come in tutti gli altri centri delle province meridionali, i Carabinieri e il Sindaco erano tenuti ad inviare alla polizia informative sul comportamento dei cittadini.[7] Intanto pochi si accorsero che il brigantaggio, più che da moventi politici, scaturiva dall'infinita miseria della plebe contadina. Lo denunziò apertamente il deputato Giuseppe Massari nella sua relazione della Commissione d'inchiesta parlamentare del 1863: « Il brigantaggio è la protesta selvaggia della miseria contro le antiche ingiustizie».[8] L'agosto 1863 un proclama di Vittorio Emanuele venne affisso in tutte le città, paesi, borgate del Mezzogiorno.[9] Era la legge Pica contro il "brigantaggio". Praticamente l'autorità militare assumeva il governo delle province meridionali. La repressione diventava, a questo punto, ancora più acre e feroce di quanto non fosse mai stata. Fù così sconfitta, con molte vittime da una parte e dall’altra, la vasta e disordinata rivolta dei contadini meridionali senza che l’azione repressiva fosse accompagnata da una seria azione politica intesa a migliorare le condizioni dei contadini stessi. Il disinteresse del potere centrale verso le legittime aspirazioni dei ceti subalterni, le invivibili condizioni di vita, determinarono a Pomarico, oltre che in tutta la Basilicata, la grande emigrazione transoceanica e permanente.[10] La grande miseria, le palesi ingiustizie, spinsero i più impulsivi, che non riuscivano a rassegnarsi a vivere di stenti e a sopportare i soprusi, a diventare brigante prima ed emigrante poi.
Note:
[1] MOLFESE F. Storia del brigantaggio dopo l'Unità. Milano, Feltrinelli, 1964
[2] G. CANDELORO, Storia dell’Italia Moderna, vol. II, Feltrinelli ed., Milano1971, pag. 322.
[3] PEDIO T., Brigantaggio meridionale (1860-1863), Capone Editore, Lecce 1997
[4] A.S.PZ., Intendenza di Basilicata, busta 1084, fasc. 1435
[5] PEDIO T., Brigantaggio meridionale (1860-1863), Capone Editore, Lecce 1997
[6]A.S.PZ., Proc. pol., 262/1-8
[7] A.S.PZ., Proc. pol., 262/1-8
[8] T. PEDIO, Inchiesta sul brigantaggio. Relazione Massari Castagnola. Lettere e scritti di Aurelio Saffi. Osservazioni di Pietro Rosano, in Critica della "Civiltà cattolica", Manduria 1983
[9] Molfese F., La repressione del brigantaggio del brigantaggio post unitario 1860-70, Feltrinelli , Milano 1979
[10] G. RACIOPPI, Storia dei Popoli della Lucania e Basilicata, Roma 1889

DOTT. SPERA GERARDO

sabato 28 giugno 2008

Brigantaggio Post-Unitario IL PROBLEMA STORIOGRAFICO

Questa discussione si articola sull’analisi di particolari fenomeni di agitazione sociale, come il banditismo sociale e i movimenti rivoluzionari contadini ma il campo principale d’indagine è l’ analisi del Brigantaggio post-uniario nel nostro paese e soprattutto nell’Italia meridionale. Con lo studio delle origini e dell’evoluzione di questi vasti fenomeni sociali che effettivamente hanno cambiato la vita del nostro paese, si cerca di mettere in rilievo i percorsi culturali attraverso cui il sud Italia è finito col diventare il Mezzogiorno, ossia il luogo per antonomasia dell’arretratezza, della diversità e dell’inferiorità rispetto al resto dell’Italia e dell’ Europa. Il brigantaggio nel Meridione fu la logica conseguenza di un particolare momento politico sociale, che le popolazioni attraversavano all’indomani dell’Unità d’Italia. Finora sono stati elementi decisivi, nell'impostazione del problema storiografico, fonti e testi concernenti Relazioni parlamentari o saggi di studiosi. Oggi si è in possesso di materiale proveniente dalla stampa dell'epoca, italiana e straniera, che può fare molta luce sul fenomeno del brigantaggio, come sono utili pure i volumi degli studiosi stranieri. Ma tra i libri sul brigantaggio di autori italiani che abbiano varcato la frontiera nazionale, è da ricordare quello di F. Molfese, uscito nel 1964 e ricco di una documentazione originale ritrovata presso Archivi e Biblioteche del Parlamento.
Il libro del Molfese è stato al centro dell'attenzione di uno dei più grandi storici inglesi viventi, E. J. Hobsbawm, che ha dedicato, al tema del banditismo sociale nell'Europa moderna, un'ampia ricerca in tre volumi. E' evidente che la peculiare uniformità del banditismo in differenti periodi e luoghi - sottolineata da tempo da E. J. Hobsbawm - rende ripetitivo e ovvio ogni studio che si limiti ad una mera ricostruzione delle azioni o delle figure tipiche di banditi in una determinata epoca: più interessante risulta invece ancora oggi una analisi problematica dell'atteggiamento che i vari settori sociali ebbero nei confronti dei fuorilegge e della risposta che le classi dominanti diedero a coloro che si posero fuori e contro la società legale. Gli studiosi più famosi del brigantaggio (P. Villari, A. Lucarelli, F. Molfese), senza dimenticare i tanti che nella storiografia locale hanno agevolato la conoscenza di quel fenomeno, sono abbastanza d'accordo nel denunciare le cause di carattere economico e sociale che hanno dato l'avvio alle azioni brigantesche.
Ma è con le ricerche di F. Molfese sulla “Storia del brigantaggio dopo l'Unità” che la riflessione, sul fenomeno di rivolta contadina del decennio post-unitario, acquisisce contorni interpretativi più netti e precisi rispetto al passato. Questo fenomeno deve essere visto non come espressione di delinquenza comune ma di ribellione agli ordinamenti sociali delle classi più povere, quelle più soggette ai soprusi. L’uomo meridionale non era brigante per indole, alla base del suo comportamento illegale, vi erano cause profonde e complesse di ordine storico, sociale, economico e politico. Se quel fenomeno assunse vaste proporzioni, lo si deve senz’altro al cambiamento politico che portò le province meridionali dal regime borbonico a quello unitario. Come risultò dalla Esposizione Internazionale di Parigi del 1856, le Due Sicilie erano lo Stato più industrializzato d'Italia ed il terzo in Europa, dopo Inghilterra e Francia. Il governo piemontese non si preoccupò di realizzare uno stato che tenesse conto delle diversissime realtà locali, ma si limitò ad estendere a tutto il territorio nazionale lo Statuto Albertino e tutta la legislazione dello stato sabaudo. In un primo tempo la matrice della ribellione sembrava essere circoscritta a fattori di natura prettamente politica e configurarsi come lotta armata all’oppressore, ma quando la giurisdizione del Regno d’Italia si insediò ufficialmente, la vera causa della sollevazione popolare si rivelò come il prodotto di un incontenibile disagio sociale. Se l’aspetto politico e territoriale giocarono un ruolo importante nella diffusione del brigantaggio, è anche vero che l’aspetto socio-economico era stato la componente principale di quel fenomeno. In queste società la vita del brigante rappresentava, l'unica alternativa alla fame. La storiografia di ispirazione liberale ha tramandato una nozione ormai screditata della resistenza popolare come manifestazione di criminalità comune e come esito della sobillazione reazionaria, abile a sfruttare mali endemici e secolari del Mezzogiorno.
Un’interpretazione esauriente del complesso fenomeno del brigantaggio deve partire dalla considerazione che l’opposizione armata fu soltanto uno degli aspetti della resistenza antiunitaria delle popolazioni meridionali, che presentò contorni più vasti e profondi. Che dopo l’unità il brigantaggio sia stato una guerra sociale lo si ammette in parlamento solo nella tornata del 7 giugno1872 ad opera di Agostino Bertani che illustrò una relazione sulle condizioni dei contadini meridionali, ancora nel 1880 lo affermò Sidney Sonnino. In un clima di assoluta diffidenza nasceva la visione del brigantaggio come questione sociale e politica. Ma ormai siamo entrati in una fase diversa dall’analisi sociale ottocentesca e i briganti sono diventati metafora utile a capire il presente. Finalmente il tema del brigantaggio non è più un tabù ma acquisisce dignità di rivolta sociale.
Ora si va in cerca di testimonianze dirette, vecchi quaderni, manoscritti, lettere di briganti. Si vuole sapere di più attraverso il racconto dei protagonisti.
DOTT. SPERA GERARDO

TESTI CONSIGLIATI PER APPROFONDIRE

PEDIO T., Storia della Basilicata raccontata ai giovani, Vol. I, Appia 1 Editrice, Venosa 1997
Pani Rossi, E., La Basilicata. Studi politici, amministrativi e di economia,. Verona 1868
HOBSBAWM E. J. I ribelli. Torino, Einaudi, 1980
HOBSBAWM E. J. I Banditi. Torino, Einaudi, 1971F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unita, Feltrinelli Milano 1979

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